Rischia la condanna per reato di sostituzione di persona chi utilizza, sul proprio profilo Facebook, la foto di un’altra persona.
Così, la 5^ Sezione Penale della Suprema Corte[1], che ha confermato la sanzione penale patteggiata da una donna dinanzi al G.U.P., «concordata di giorni 15 di reclusione, convertita in euro 3.750 di multa, …, per il delitto contestatole ai sensi dell’art. 494 cod. pen [‘Sostituzione di persona’], per avere utilizzato, per il proprio profilo facebook, la foto di un’altra persona».
L’imputata ha presentato ricorso in Cassazione deducendo la nullità dell’accordo stipulato tra essa e il pubblico ministero in quanto [erroneamente] il giudice non aveva consentito di revocarlo a seguito della possibilità sopravvenuta, ad esito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 201/2016, di richiedere, con l’atto di opposizione al decreto penale, la sospensione del procedimento per la messa alla prova. «Più precisamente, il giudice non aveva concesso il richiesto termine a difesa ed aveva, invece, accolto l’istanza subordinata, sulla quale si era formato il consenso con il pubblico ministero, di ripartire il pagamento della multa in 30 rate, piuttosto che nelle 18 dell’originario accordo».
Ma la Suprema Corte, con la richiamata sentenza, ha rigettato il ricorso sulla base delle seguenti considerazioni in diritto: «Il decreto penale emesso nei confronti della ricorrente non era affetto da alcuna nullità visto che era stato emesso il 20 maggio 2016 quando non era stata ancora né pronunciata né pubblicata la sentenza n. 201 della Corte costituzionale, del 6 luglio 2016 (pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 27 luglio 2016) con la quale si era dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 460, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna contenga l’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere mediante l’opposizione la sospensione del procedimento con messa alla prova. Comunque, il mancato avviso non precludeva all’imputato di formulare istanza di sospensione del procedimento ai sensi dell’art. 168 bis cod. pen., sussistendone i presupposti, posto che la “messa alla prova” era stata introdotta nell’ordinamento in epoca antecedente, con la legge 28/04/2014 n. 67. 1 Corte di Cassazione – copia non ufficiale 2 – Nel caso concreto, però, l’istanza della difesa, di revoca del consenso al patteggiamento, non si era fondata sulla esplicita richiesta di sospensione del processo per la messa alla prova […] ma solo sulla richiesta di un termine a difesa per valutarne la convenienza».
[1] Sez. 5, 10.10.2017-30.01.2018, n. 4413